La separazione dei coniugi
La separazione personale dei coniugi è un istituto che trova fondamento sia nelle norme del codice civile (artt. 150 e ss.), nel codice di procedura civile, nonché in una serie di norme speciali. In relazione a tale ultimo aspetto, si segnala
Contrariamente a quanto comunemente si tende a pensare, la separazione non pone fine al matrimonio, né fa venir meno lo status giuridico di coniuge. L’istituto della separazione incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio (si scioglie la comunione legale dei beni, cessano gli obblighi di fedeltà e di coabitazione). Altri effetti, invece, residuano, ma sono limitati o disciplinati in modo specifico (dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, dovere di mantenere il coniuge più debole e dovere di mantenere, educare ed istruire la prole).
Diversamente dal passato, oggi la separazione può essere dichiarata per cause oggettive, cioè indipendentemente dalla colpa di uno dei due coniugi: è, infatti, venuto meno l’istituto della separazione “per colpa”. È possibile quindi che i coniugi si separino perché avvenimenti esterni si frappongono alla coppia, perché sopraggiungono circostanze non previste, né prevedibili, al momento della celebrazione del matrimonio, perché ci si rende conto dell’esistenza di un’incompatibilità caratteriale insuperabile e, in generale, per tutti quei fatti che, usando l’espressione del legislatore, “rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio all’educazione della prole” (art. 151, 1°co. c.c.).
La separazione, a differenza del divorzio, ha inoltre carattere transitorio, tanto che è possibile riconciliarsi, senza alcuna formalità, facendo cessare gli effetti prodotti dalla stessa (art. 154 c.c.). Per rendere formale la riconciliazione, oltre all’accertamento giudiziario, è possibile per i coniugi recarsi al Comune di appartenenza per rilasciare un’apposita dichiarazione.
Può accadere che i coniugi decidano di interrompere la convivenza senza formalità (senza quindi fare ricorso ad un giudice), ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto, (marito e moglie vivono insieme o in dimore diverse, ma ognuno si occupa del proprio destino e della propria vita, disinteressandosi dell’altro). La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine di tre anni per addivenire al divorzio. Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, l’allontanamento di uno dei due coniugi dall’abitazione familiare o l’instaurazione di relazioni extra-coniugali potrebbero essere motivo di addebito della separazione nel caso di separazione giudiziale. Infatti, in caso di separazione giudiziale, essendo venuto meno l’istituto della separazione per colpa, è, comunque, possibile per un coniuge domandare l’addebito della separazione al coniuge che si sia reso inadempiente ai doveri coniugali.
A differenza dalla separazione di fatto, la separazione legale produce effetti che incidono sui rapporti personali e patrimoniali tra marito e moglie, e tra genitori e figli. Tra i principali ambiti nei quali si manifestano mutamenti della situazione giuridica si segnalano:
la separazione legale dei coniugi può essere consensuale o giudiziale.
Se i coniugi trovano un accordo sulle condizioni della loro separazione, possono fare congiuntamente domanda di separazione all’autorità giudiziaria (con un unico ricorso, sottoscritto da entrambi), instaurando il procedimento di separazione consensuale (art. 158 c.c.).
Il ricorso per la separazione consensuale può contenere diverse clausole e pattuizioni, fra loro eterogenee.
Occorre dunque distinguere il cosiddetto “contenuto minimo” della separazione consensuale, costituito da quegli accordi che riguardano direttamente la separazione e che hanno ad oggetto gli obblighi che derivano dal matrimonio, da altri accordi che possono intervenire fra i coniugi in occasione della separazione, come ad esempio gli accordi che riguardano la divisione dei beni in comune.
Il cosiddetto “contenuto minimo della separazione” è infatti costituito da quelle clausole che i coniugi devono necessariamente prevedere per potersi separare consensualmente. Tali convenzioni fra i coniugi non possono acquistare efficacia se non vengono omologate dal Tribunale. Pertanto, la separazione consensuale non è quindi possibile in assenza di un accordo tra i coniugi che investa tutte le questioni (diritti patrimoniali, mantenimento del coniuge debole, diritti di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale). Le altre pattuizioni che intervengono solitamente fra i coniugi in occasione della separazione, come ad esempio quelle che riguardano la divisione dei beni in comunione o quelle con le quali un coniuge trasferisce all’altro la proprietà di taluni beni, ben potrebbero essere oggetto di veri e propri contratti fra le parti: esse acquisterebbero piena efficacia anche senza l’omologa del Tribunale (purchè vengano rispettati i requisiti formali previsti dalla legge).
Le questioni sulle quali i coniugi devono necessariamente trovare un accordo per potersi separare consensualmente riguardano esclusivamente:
1. il consenso di entrambi alla separazione;
2. il regime di affidamento dei figli minori e/o la scelta del coniuge con il quale dovranno convivere i figli maggiorenni ma non autonomi;
3. il calendario di visite del genitore non convivente con i figli minori ;
4. il contributo che il coniuge non convivente o non affidatario dovrà pagare all’altro per il mantenimento dei figli: dovrà trattarsi di un assegno mensile, o comunque periodico, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT (o secondo altro criterio di rivalutazione automatica);
5. l’assegnazione della casa coniugale, che deve essere effettuata preferibilmente e ove sia possibile in favore del coniuge convivente con i figli minori.
I coniugi possono concordare che la casa coniugale non venga assegnata ad alcuno di essi (perché, ad esempio, è stata già posta in vendita);
6. l’eventuale assegno di mantenimento, mensile o comunque periodico, in favore del coniuge sprovvisto di adeguati redditi propri.
I coniugi possono convenire che ciascuno provveda da sé al proprio mantenimento.
In mancanza di un accordo fra i coniugi su una delle suddette condizioni, la separazione non può essere omologata.
Non occorre invece che i coniugi trovino un accordo anche su altre questioni, come la divisione dei beni in comunione. Se però un accordo esiste anche su tali questioni, esso può essere inserito fra le condizioni della separazione consensuale.
La separazione consensuale inizia con il deposito del ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente, adempimento che può essere svolto anche in assenza dell’ausilio di un avvocato, ma direttamente da uno od entrambi i coniugi.
All’udienza che sarà fissata dinanzi al presidente del tribunale, i coniugi devono comparire personalmente per il tentativo obbligatorio di conciliazione. Il presidente del tribunale può adottare gli eventuali provvedimenti che riterrà necessari ed urgenti. È da questa data che decorre il termine di tre anni per poter richiedere il divorzio.
Successivamente, se gli accordi sono ritenuti equi e non pregiudizievoli per i coniugi e soprattutto per la prole, il tribunale dispone con decreto l’omologazione delle condizioni (decreto di omologa), così determinando di diritto la separazione.
Le condizioni stabilite in sede di separazione consensuale potranno comunque essere modificate o revocate qualora intervengano fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei coniugi o il rapporto con i figli.
2) La separazione giudiziale
Alla separazione giudiziale si fa ricorso nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi e non può pertanto addivenirsi ad una separazione consensuale. La separazione giudiziale può essere quindi richiesta anche da uno solo dei due coniugi.
In caso di separazione giudiziale è anche possibile richiedere l’addebito della separazione, cioè l’accertamento che vi sia stata la violazione degli obblighi che discendono dal matrimonio (fedeltà, coabitazione, cura della prole, etc.) da parte di uno dei coniugi e che questa violazione abbia determinato la cessazione del rapporto. Nel caso in cui l’addebito sia riconosciuto dal giudice a carico di uno dei coniugi, questi non ha diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento e perde la maggior parte dei diritti successori.
La prima udienza del giudizio prevede la comparizione personale dei coniugi davanti al presidente del tribunale ed avviene con le stesse modalità della separazione consensuale. Anche per il caso di separazione giudiziale, il presidente del tribunale può, in questa fase, adottare i provvedimenti necessari ed urgenti a tutela del coniuge debole e della prole. Successivamente, il procedimento si svolge secondo le forme del rito ordinario ed il provvedimento emesso a conclusione ha la forma di sentenza.
È pure riconosciuta la possibilità di dichiarare immediatamente la separazione tra i coniugi, con sentenza non definitiva già in conseguenza alla prima udienza, in modo da poter poi proseguire il procedimento per decidere solo gli aspetti controversi. Ciò permette di poter richiedere il divorzio anche prima dell’emissione della sentenza definitiva che statuisce e disciplina i rapporti tra marito e moglie.
Qualora si inizi una separazione giudiziale questa, anche in corso di causa, può essere trasformata in separazione consensuale. Non può invece accadere il contrario, e deve avviarsi una nuova procedura.
Le condizioni stabilite in sede di separazione giudiziale potranno comunque essere modificate o revocate qualora intervengano fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei coniugi o il rapporto con i figli.