“UNo Specchietto per le allodole, vendono brutti prodotti in un bel locale. E con la scusa dei saldi continui spacciano montagne di fondi di magazzino“. In crisi di vendita al primo bilancio dei saldi dell`abbigliamento (-6 per cento), l`Ascom sferra il suo attacco a spacci e outlet. In passato erano i negozi alimentari a fare la guerra alla grande distribuzione, una guerra persa da tempo. Ora è invece il settore abbigliamento che punta il dito contro il modello americano dei megastore. Colpevole, secondo l`associazione dei commercianti, di aver incrementato le proprie vendite del 10 per cento, “ma a scapito del commercio regolare“. Francesco Cena, presidente del settore abbigliamento dell`Ascom, consiglia invece ai suoi iscritti di affidarsi ai negozi tradizionali, i cosiddetti “sottocasa“, “in generale garanzia di serietà e correttezza“. E spiega: “Nella stragrande maggioranza gli spacci della propria produzione vendono ben poco. E mancando di qualsiasi regolamento, distorcono il mercato, ingannano il consumatore meno attento e discreditano il commercio sano“. Parole non certo meno dure per i factory outlet, bollati come “veri e propri distributori di rimanenze, ritirate dai dettaglianti a prezzi di stock e rimesse in vendita anch`essi come “saldi continui“, a prezzi triplicati per tutto l`anno“. Così, argomenta Francesco Cena, “generano una deregulation che crea crisi nella crisi e che solo nel primo trimestre di quest`anno ha contribuito alla chiusura di circa duecento boutique nella provincia di Torino“. Il meccanismo è semplice: “Mentre le boutique pagano 100, vendono a 220 e, se non vendono, ricevono indietro il 30 per cento, gli outlet pagano trenta quando ricevono la merce e vendono a centrotrenta. Solo che offrono il gelato ai bambini, fanno la piscina, nascono in mezzo al verde“. Il segretario provinciale della Confesercenti, Antonio Carta, non condivide l`attacco dell`Ascom: “Siamo ovviamente contrari a qualsiasi tipo di esercizio che lavori al di fuori delle regole, ma credo che se l`abusivismo si combatte, fra soggetti regolari si compete“. Dopodiché, aggiunge, “la competizione è resa più difficile perché il portafoglio del consumatore comune è decisamente più vuoto e il problema è estremamente serio, visto che se non si liberano risorse non si potrà in alcun modo rilanciare i consumi“. La crisi dell`abbigliamento, dice il segretario di Confesercenti, è comunque reale e a Torino si è fatta sentire: “Non abbiamo ancora dati precisi, ma credo proprio che quest`anno alla riduzione generale delle spese per il superfluo si debba aggiungere lo zampino del clima negativo: fino a metà giugno a Torino non c`era nessuna voglia di acquistare capi estivi, visto che pioveva in continuazione. E a luglio qualcuno comincia a pensare che i vestiti dello scorso anno sono più che sufficienti“. La presidente dell`Ascom Maria Luisa Coppa però non dispera e confida che, prima del bilancio finale, ci possa essere una ripresa. Rincuora, dice, il fatto che i saldi siano considerati dalla gente come un acquisto sicuro e conveniente. E questo ci induce a sperare che le vendite possano ancora riprendere slancio nei prossimi giorni“. Le associazioni a tutela dei consumatori in questa nuova guerra commerciale non vogliono entrare. Dice il presidente di Associazione Consumatori Piemonte, Gavino Sanna: “Mi sembra un regolamento di conti all`interno del commercio che francamente non ci riguarda“. E Tiziana Sorriento del Codacons conferma, sostenendo che “le associazioni non compilano la lista dei buoni e dei cattivi, fra le segnalazioni che ci arrivano su saldi “truccati“ o comportamenti irregolari ci sono boutique e outlet, o outlet che in realtà nascondono stockisti“. Il vero problema, dicono entrambi, è che la crisi dei consumi è una realtà incontrovertibile, “ma per mettere a fuoco il problema, l`attenzione si deve spostare sulle entrate, non sulle uscite“, chiarisce Sanna. Il Codacons ritiene invece che la diminuzione delle vendite in saldo sia ben più alta del 6 per cento: “Sull`abbigliamento possiamo ipotizzare un decremento che arriva al 20-25 per cento“.