Alla fine la politica vince sulla giustizia. La decisione di raddoppiare la presenza americana a Vicenza, concedendo all`esercito a stelle e strisce l`area Dal Molin, è «un atto politico, come tale insindacabile dal giudice amministrativo». In una manciata di ore la quarta sezione del Consiglio di Stato ribalta la decisione presa a giugno dai Tar di Venezia. Una mazzata per i Comitati No-Dal Molin e anche per l`amministrazione comunale di Vicenza del neo sindaco Achille Variati (Partito Democratico), fautrice della linea delle consultazione popolare che era stata invece negata dal suo predecessore, Enrico Hullweck di Forza Italia,
Il Consiglio di Stato ha posto un muro difficilmente valicabile, attraverso una motivazione che ferma la valutazione della magistratura amministrativa sulla soglia delle stanze dove vengono adottate le decisioni governative, in ossequio a «un tradizionale principio sancito dall`articolo 31 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato». Si tratta del regio Decreto numero 1054 del 26 giugno 1924 che a quell`articolo recitava: «Il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell`esercizio del potere politico».
I giudici di Palazzo Spada spiegano così che l`insindacabilità del giudizio «riguarda non solo il contenuto dell`atto, ma anche, a maggior ragione, la sua forma, propria dell`ordinamento nel quale l`atto si è formato». Poi però entrano nel merito, anticipando in qualche modo la decisione che ad ottobre dovrà essere presa dal Tar di Venezia, che a giugno si era limitato a concedere la sospensiva del provvedimento.
Il Consiglio di Stato sostiene, infatti, che il «nulla-osta del ministero della Difesa si inquadra nella procedura appositamente prevista per le attività a finanziamento diretto statunitense, la cui realizzazione è demandata ad una apposita Commissione mista costruzioni (CMC) costituita nell`ambito della Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa». E quindi la procedura riflette «quanto previsto dall`accordo bilaterale Italia-Stati Uniti d`America del 20 ottobre 1954, tuttora coperto da classifica di riservatezza».
È la linea sostenuta dall`Avvocatura dello Stato nel ricorso presentato per conto della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Difesa. In un passaggio successivo i giudici sostengono che la decisione di raddoppiare la base non può essere vincolata all`esito di un referendum popolare. «Non rientra nella procedura di autorizzazione ad un insediamento militare, di esclusiva competenza dello Stato, la consultazione della popolazione. Nè tanto meno essa è prevista nella procedura risultante dal Memorandum del 1995». Eppure qualcuno aveva fatto riferimento, in sede istituzionale, a quel referendum. Risposta: «Tale consultazione è stata solo ipotizzata nelle dichiarazioni del ministro della Difesa in sede parlamentare».
I giudici insistono sul memorandum di 13 anni fa, che avvalora l`extraterritorialità degli insediamenti militari Usa. «La realizzazione di infrastrutture sul territorio nazionale, finanziata dagli Stati Uniti, è disciplinata dal Memorandum del 1995, che prevale sulla disciplina italiana e comunitaria in materia di procedure ad evidenza pubblica per l`assegnazione delle commesse pubbliche». Visto che pagano gli americani, non si applicano norme di trasparenza e di gara previste dalla Ue.
Il Consiglio di Stato si spinge ancora più in là , entrando di fatto nel merito delle censure dei ricorrenti. Perchè sostiene che non vi sarebbe neppure un rischio ambientale dall`elefantiaco insediamento militare a neppure due chilometri dal centro di Vicenza. «Tali rischi sono privi di riscontri concreti, anche in relazione alla successiva autorizzazione alla progettazione dell`intervento sul lato ovest dell`Aeroporto». Si tratta dell`ipotesi alternativa fatta propria dal commissario straordinario Paolo Costa, con la realizzazione della nuova caserma non sul lato orientale, dove si trova una vasta area verde, ma su quello occidentale dove sorgono gli edifici già in uso all`Esercito italiano. In tal modo «è stato spostato il progettato ampliamento su una area già destinata prevalentemente ad attività aeroportuale e di cui è prevista la dismissione da parte della amministrazione militare italiana, senza quindi alcun cambio di destinazione d`uso».
Ma il Codacons, autore del ricorso, replica: «Una decisione in ossequio evidentemente ai desideri di Berlusconi e del ministro La Russa, ma che lascia il tempo che trova. Vedremo fra due mesi. Il provvedimento non dice nulla circa i gravissimi rischi ambientali denunciati dalla stessa valutazione di incidenza ambientale fatta realizzare dagli americani, e quindi non sospetta».