E allora perché i napoletani, tra i tanti primati, si sono meritati anche questo del latte più caro? Per venire a capo del rebus occorre fare un lungo viaggio, dalle mammelle delle mucche fino agli scaffali refrigerati dei supermercati. La globalizzazione dei mercati ha provocato un evento che ha travolto tutto il settore, mettendo a nudo criticità e debolezze del latte fresco. In Italia, secondo i dati dell’Assolatte, se ne consumano un miliardo e 250 milioni di litri l’anno, con un volume di affari di circa un miliardo e mezzo di euro. Da noi il consumo "pro capite" annuo è di 22,7 litri, contro una media quasi doppia di paesi come Spagna, Gran Bretagna o Austria. In Campania si bevono in un anno circa 125 milioni di litri, nella sola Napoli 25 milioni. Da dove proviene questo fiume di latte e, soprattutto, chi ci mette le mani? Le accuse, come al solito, si sprecano. Gli allevatori lamentano il rincaro dei costi di produzione e denunciano che dalla stalla alla tavola il prezzo viene quadruplicato. Le industrie ribattono sostenendo che al Sud il latte costa di più perché se ne produce di meno e perché da prodotto civetta è ormai scaduto a marginale. L’Assolatte, che associa 300 aziende, punta l’indice contro il grande potere della Gdo (Grande distribuzione organizzata) che nel comparto avrebbe raggiunto livelli insopportabili. Comunque sia, il vertiginoso caro-prezzi di uno degli alimenti più consumati dalle famiglie nasconde una vera e propria guerra di dominio commerciale. Si deve a questa guerra, e al pilatesco comportamento dei politici, se il latte fresco a Napoli costa più del doppio di quello acquistato a Monaco, Berlino, Parigi o Barcellona. A denunciare lo scandalo sono da tempo le associazioni dei consumatori e la Coldiretti. Dice quest’ultima: "Qualcuno ci deve spiegare perché il prezzo al consumo aumenta costantemente e quello in stalla diminuisce, consumatori e imprese agricole si trovano per l’ennesima volta a pagare di tasca propria le inefficienze della filiera". Secondo i dati Coldiretti gli allevatori della Campania hanno 99 mila mucche che producono in un anno 534 milioni di litri di latte. La gran parte dei contratti per conferirlo si firmano con il colosso Parmalat, che ha un grosso impianto a Piana di Monte Verna, nel Casertano. Spiega Alfonso Carbonelli, agronomo della Coldiretti: "Con l’ultimo contratto c’è stato un aumento di appena 7 centesimi al litro, per cui oggi un litro di latte fresco di alta qualità viene pagato alla stalla 45 centesimi. Invece a Napoli il prezzo di vendita supera 1,60 euro". Se all’origine il prezzo del latte è stabilito dall’Unione europea, tutto cambia quando è il consumatore finale a sborsare i quattrini. Nei negozi di Germania, Francia o Spagna, il tariffario oscilla di pochi centesimi ed è praticamente il doppio rispetto alla stalla. Nulla a che vedere con i prezzi medi del latte di marca italiano: nel tragitto dalla stalla al supermercato il prezzo del latte si moltiplica per quattro e in alcune zone di Napoli (Antignano, Torretta, Metastasio, Secondigliano), sempre secondo i dati del rilevamento, raggiunge addirittura 1,90 euro al litro. E la concorrenza? Zero. Nel mercato campano la concorrenza risulta del tutto inesistente perché i signori del latte, Parmalat e Granarolo, si sono divise le zone d’influenza e dettano legge. "è vergognoso trovarsi di fronte a rincari di quattro volte superiori rispetto al prezzo di partenza – denuncia Coldiretti – L’allargarsi della forbice dei prezzi non ha alcuna giustificazione, e la colpa non è né dell’euro, né del caro-petrolio. Altrimenti perché in Francia e Germania la catena di vendita riesce a contenere meglio i costi?". Che il prezzo del latte sia aumentato, al consumo, in maniera esponenziale è denunciato anche dal Codacons, che ricorda come si sia passati da di 1,08 euro al litro del 2001 al prezzo (medio) di 1,55 euro nel 2008. Come si giustifica un aumento del 43,5 per cento? Assolatte scarica la responsabilità sugli allevatori affermando che "il costo del latte nella stalla è cresciuto di oltre il 30 per cento, mentre a tutt’oggi i listini di vendita sono stati aggiornati con un incremento medio che è di solo il 10 per cento". "Balle – ribatte la Coldiretti – Dal 2001 ai primi tre mesi del 2008 per il latte alla stalla l’aumento è stato di 5-6 centesimi per litro. Invece, sugli scaffali dei supermercati, l’aumento è stato di 52 centesimi. Allora, chi sta traendo profitto da questa forbice tra il produttore e il consumatore? Certo, non i nostri allevatori. Se il latte viene venduto addirittura oltre 1,60 euro al litro, significa che i prezzi vengono quadruplicati dalla stalla alla tavola". L’aumento imposto al consumatore dalle industrie per il prodotto finito è, dunque, ben superiore a quello della materia prima che acquistano dagli allevatori. Per questi ultimi "il comportamento dell’industria e della grande distribuzione, che pagano poco alle imprese agricole e chiedono sempre di più ai consumatori, non può essere tollerato". Parmalat e Granarolo si difendono affermando che allevatori e industrie farebbero bene a deporre le armi ed affrontare insieme un mercato sempre più governato dalla grande distribuzione organizzata. Sentita dal Garante della concorrenza e del mercato, Parmalat ha spiegato come "il margine netto della Gdo per la distribuzione di latte fresco sia pari a circa il 30 per cento del prezzo finale di vendita, contro un 20 per cento di margine mediamente ottenuto dal dettaglio tradizionale". Ma la direzione di Auchan, uno dei principali gruppi della grande distribuzione (presente in Campania con 5 ipermercati) mette subito le mani avanti. E a "Repubblica" dichiara: "Nel 2008, a fronte di aumenti ricevuti dalle industrie del 10 per cento circa, abbiamo assorbito 5 punti percentuali che non sono stati ribaltati sul prezzo al cliente". Insomma chi ha ragione? Per capire l’intreccio di interessi occorre prima raccontare chi muove i fili del mercato del latte a Napoli e in Campania