I truffati del "tubo Tucker" saranno risarciti: per tre di loro l’indennizzo è già stato stabilito dal tribunale di Rimini. I rimanenti potranno aprire una causa civile. Il procedimento, infatti, si è chiuso con la condanna anche del titolare della spa. I presunti truffati, in tutta Italia e una trentina del Friuli occidentale, attendevano giustizia ormai da sei anni. La vicenda. Il caso venne sollevato dal tg satirico "Striscia la notizia" al quale si rivolsero alcune delle persone truffate. Secondo il Codacons, all’epoca, vennero installati più di 14 mila dispositivi, al prezzo medio di 15 milioni delle vecchie lire, per un giro d’affari di circa 200 miliardi di lire. Il meccanismo della presunta truffa si era sviluppato tra il 2000 e il 2002 quando la ditta romagnola aveva messo in piedi una struttura piramidale di vendita di un prodotto che allora veniva dipinto come prodigioso: si trattava di un tubo che, stando a quanto raccontava il suo inventore, applicato ai bruciatori avrebbe dovuto abbattere l’inquinamento e ridurre i consumi energetici. Era, in sostanza, un richiamo irresistibile per tanta gente che fa i conti con il bilancio familiare sempre più esiguo e per quella che pone nel rispetto ambientale un valore irrinunciabile o comunque fondamentale. Ma il tubo, in realtà, una volta installato, non dava gli esiti annunciati. Il Garante della concorrenza e del mercato, con una sentenza del 7 novembre 2002, stabilì che la pubblicità sul prodotto era ingannevole. Nel 2003 la Finanza sequestrò immobili e auto riconducibili alla Truker per un valore stimato di oltre 2,5 milioni di euro. La convention di Prata. I clienti e i venditori del tubo Tucker venivano contattati dall’azienda e partecipavano a una convention (una di queste si era tenuta a Prata) nel corso delle quali veniva fatto sottoscrivere loro un contratto, in franchaising nel caso dei venditori. Questo comportava, per chi aderiva, un investimento iniziale del capitale privato, soldi che le persone cadute nella rete attendono ora di riavere. La truffa, secondo quanto emerso in sede processuale, veniva attuata attraverso una rete di venditori "indottrinati" con metodi spesso definiti «da inquisizione» dopo essere stati pagati in media 8 mila euro per entrare nell’organizzazione: per rientrare dalle spese c’era spesso un’unica strada, fare a propria volta altri affiliati su cui rifarsi. I truffati. In provincia di Pordenone sono 37 le persone che hanno presentato denuncia, ma solo tre di queste hanno deciso di procedere con la querela e la causa in tribunale. Le persone si sono rivolte a Federconsumatori che, attraverso l’avvocato Alberto Fenos, si sono costituite parte civile. Tutte le denunce, poi, sono confluite nelle mani di un team di avvocati riminesi che hanno seguito l’istanza nella fase processuale. Le denunce, infatti, nel complesso sono state tante e pertanto sono state raggruppate. I pordenonesi hanno perso con l’affare Tucker circa 7 mila euro ciascuno. Tante altre persone hanno preferito non procedere in quanto avevano perso somme contenute. Il processo. Cinque condanne e decine di assoluzioni al termine del primo grado di giudizio conclusosi a Rimini. La pena più alta, 11 anni e 4 mesi per truffa, è per il fondatore della Tucket, Mirco Eusebi, stabilita dopo 9 ore di camera di consiglio del collegio giudicante del Tribunale. Per Eusebi l’accusa aveva chiesto 15 anni di reclusione e altri 14 per la sua compagna di vita e di affari, Ivana Ferrara, che pure è stata condannata a 10 anni e 10 mesi. Insieme a loro sono stati condannati altri dirigenti dell’azienda: a Simone Ambrogiani, Samuele Pierfederici e Osvaldo Salvi sono stati inflitti 9 anni e 4 mesi ciascuno. Restano tutti in libertà, in attesa dell’appello, che i loro difensori hanno già annunciato di voler presentare. Sono stati assolti altri esponenti del gruppo dirigente, come Emanuele Baroni, Dario De Bon e Iano D’Altri. Assolti anche i circa cinquanta dipendenti-adepti che erano accusati di aver dato vita a singole truffe. Che succede ora. I truffati che si erano costituiti parte civile al processo otterranno il risarcimento, secondo quanto quantificato dal tribunale e in proporzione a quanto recuperato e prima investito. La sentenza, infatti, con le relative motivazioni e disposizioni sarà pubblicata a breve e sarà comunicata agli interessati attraverso i legali o referenti territoriali, come nel caso dell’avvocato Alberto Fenons per Federconsumatori, che già ieri stava lavorando sul caso. Coloro i quali, invece, non si erano costituiti parte civile possono comunque richiedere il risarcimento, aprendo un procedimento.