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La ribellione nasconde un equivoco-inganno

Un ospedale a misura di salute e di umanità La ribellione nasconde un equivoco-inganno Un atto in difesa della dignità della mia città Scelte sofferte da trasformare in opportunità   Nessuno, però, può mettere in discussione che la sanità negli ultimi anni è cambiata alla velocità della luce, che la vecchia cultura assistenziale sulla quale era cresciuta la logistica dei vecchi ospedali divisi in compartimenti-stagno con reparti, servizi, locali di degenza distinti e separati, non esiste più, e che continuare a investire su strutture datate, superate dalla nuova concezione sanitaria, significa solo rimediare in qualche modo a lacune e carenze che in breve si riveleranno ancora più invasive e non più eliminabili. La verità è che una certa impostazione è giunta al capolinea, che indietro non si torna più, che c’è stata una svolta epocale, come quando si cominciarono, fra mille proteste, a pedonalizzare le strade nel cuore della città, e che contro il corso della storia si possono lanciare frecce e sassi per poco tempo. Oggi si parla di ospedali solo per acuzie, in cui i giorni di ricovero sono contatissimi, ospedali basati sulla centralità del paziente, su una logica di massima flessibilità all’interno e di massima apertura all’esterno verso il territorio, in cui si accorpano le funzioni similari, in cui i reparti debbono fungere da vasi comunicanti, in cui il modello organizzativo deve essere elastico, calato in un concetto edilizio ad hoc. E in questo senso l’ospedale di Santorso rappresenta inequivocabilmente l’avvenire di una Ulss che si colloca già nel futuro per scelte e dinamiche di ultissima generazione. È vero, ha ragione il presidente Giancarlo Galan, la 4 di Thiene e Schio ha da sempre il bilancio a posto, è una delle due sole Ulss del Veneto a chiudere i conti in attivo, ha sposato, unica in Italia, quella filosofia dell’Alta Salute che significa fare prevenzione nei fatti, rilanciando ed esaltando il ruolo dei medici di base, calamitando l’interesse e la collaborazione delle associazioni di volontariato. Ha intensificato i servizi per gli anziani, ha applicato il culto preziosissimo dello screening che vuol dire meno rischio di malattia e tagli alla spesa sociale, ha il più basso tasso di ospedalizzazione, ha saputo combattere gli sprechi in un’altra delle voragini della sanità pubblica italiana che è la spesa farmaceutica. Ed è su questi parametri che si delinea un nuovo ospedale che, per come è stato concepito e voluto, può realizzarsi e vivere solo qui nell’Alto Vicentino. Perché è l’ospedale ideale per una sanità di eccellenza come quella scritta a lettere cubitali anche nella bibbia dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, la quale per una popolazione di 200 mila abitanti prevede uno standard massimo di 400-500 posti letto, un’organizzazione interna estremamente efficiente, un territorio collegato che faccia ponte diretto. Ebbene, l’Ulss di Thiene e Schio conta oggi 190 mila abitanti in fase di crescita, destinati ad aumentare presto fino a 200 mila. Ha costruito in questi anni un nucleo di reparti e servizi medici di qualità che sanno agire anche su area vasta, in un’ottica interdipartimentale con Vicenza. Ha inventato, grazie a un innovatore come Corrado Pertile, un’organizzazione territoriale di medici di base forte di 15 anni di esperienza, con una lungimiranza ineguagliata in Italia. L’Ulss 4 è un’azienda, allora, facendo la somma, in possesso di tutti i requisiti per abitare un ospedale concepito per durare trent’anni. Per questo non può essere che festa. Per questo attendiamo con una certa ansia che nella nostra provincia spunti al più presto, con il sì definitivo della Regione, un altro nuovo ospedale, quello di Arzignano-Montecchio, perché anche in questa importante area i vicentini possano disporre di un complesso che indossi i panni del futuro e interpreti una sanità in grado di combattere di più la malattia e di salvaguardare meglio l’umanità.   Diffondere notizie e paure su impatti distruttivi di un insediamento delle dimensioni antropiche minori di quello che va a sostituire è atto di puro allarmismo che sfiora il ridicolo. A questa soluzione, che ha impedito che l’insediamento americano si andasse a sommare a quello militare italiano dismesso compromettendo tutta l’area verde del Dal Molin, il Commissario è giunto con la collaborazione di tutti: autorità civili e militari USA, autorita militari e civili italiane statali, regionali e locali. A Vicenza la soluzione gli è stata suggerita e sostenuta tanto dall’allora maggioranza, sindaco Hüllweck, quanto dall’allora minoranza, a partire dall’allora consigliere regionale Achille Variati. Ad Achille Variati e ancor più al suo attuale assessore Marco Dalla Pozza, che i suggerimenti ha avuto la bontà di mettere per iscritto, chiedo di volerlo ricordare come atto di onestà intellettuale. È sulla base della sua ragionevolezza e del consenso raccolto che la proposta si è trasformata in decisione definitiva presa il 28 dicembre 2007 dal popolo italiano attraverso le sue istituzioni democratiche competenti, governo e parlamento, sentiti Regione del Veneto e Comune di Vicenza, che hanno dato il loro assenso. In uno stato di diritto la partita si dovrebbe considerare chiusa per rispetto del popolo sovrano. Va dato atto agli oppositori radicali – ai No Dal Molin, pacifisti, antimilitaristi, antiamericani, NO tutto, etc. – di aver mantenuto una posizione intransigente e coerente; posizione che ho rispettato nonostante gli epiteti non sempre lusinghieri rivoltimi. Ma che la soluzione – allargamento della base USA a ovest della vecchia pista di aviazione al Dal Molin e ricostruzione della pista un po’ più ad est in un’area comunque "salvata" da nuove costruzioni – fosse buona, o comunque accettabile, e che fosse sostenuta dal maggior consenso possibile lo dimostra il fatto che l’annuncio dell’approvazione del "progetto base" il 4 gennaio scorso e l’aggiudicazione dell’appalto al general contractor a fine marzo non hanno provocato reazioni, tanto meno reazioni di piazza. I ricorsi Codacons e, poi, Legambiente non cambiano il quadro: sono opposizioni "normali" nel panorama italiano, sono serviti a far verificare da ben due decisioni del Consiglio di Stato la correttezza della procedura e sono serviti e serviranno – mi riferisco all’udienza presso il TAR Veneto il prossimo 8 ottobre – a migliorare, se del caso, l’intervento. Ribellarsi alla decisione già presa, far credere ai vicentini di poter ribaltare la situazione con un referendum che non si poteva fare – tanto è vero che si è scelto la soluzione "furba", all’italiana, di sostituire al quesito "base sì-base no" un quesito tecnicamente sbagliato (non credo interessi a nessuno il fatto che ci si può proporre di acquistare pezzi di "patrimonio", ma non di "demanio" dello Stato) – è un equivoco-inganno che i vicentini non meritano, anche se gabellato come un atto di democrazia diretta. Si svolgano i riti dei gazebo, ma poi si torni al più presto ad occuparsi responsabilmente del bene di Vicenza e dell’Italia, secondo quel monito che ha rivolto a Vicenza il Presidente della Repubblica. Il Presidente Napolitano che con suo decreto mi ha reincaricato pochi giorni fa del compito di far realizzare l’ampliamento della base USA al Dal Molin. *Commissario del governo per l’ampliamento della base USA di Vicenza all’aeroporto Dal Molin.   Vogliono che il Comune provi, con la forza data da un voto favorevole della maggioranza dei cittadini, a chiedere allo Stato di cedere quell’area al patrimonio collettivo? Sono contrari? Non si pretendeva di decidere su materie che in larga parte non ci appartengono, è chiaro; ma di partecipare almeno al processo decisionale, visto che temi come quello ambientale e urbanistico invece ci riguardano. E di portare poi questo pensiero, questa volontà, al confronto con la ragione di Stato. Ho sempre detto che la ragion di Stato va rispettata: ma ho anche detto che esiste pure una ragione della comunità, e che anche questa merita rispetto, e attenzione, e ascolto. Il Consiglio di Stato, a soli quattro giorni dal voto, ha sospeso la validità dell’atto con cui il consiglio comunale aveva istituito la consultazione. Come sindaco, ho l’obbligo di obbedire a un’ordinanza del Consiglio di Stato: ho quindi dovuto fermare la complessa macchina che avrebbe garantito una consultazione dalla valenza istituzionale. Ma come sindaco, ho anche un altro dovere, che per me non è meno sacro e vincolante: rappresentare la mia città, rappresentarla tutta, difenderne gli interessi. E difenderne anche, forse soprattutto, la dignità. E io credo che la dignità della nostra città sia stata, in questi anni, calpestata. Si sono taciute informazioni. Nessuno è venuto, né dal governo Prodi né da quello Berlusconi, qui da noi a spiegare un progetto il cui impatto su Vicenza è elevatissimo. Nessuno ha voluto preoccuparsi di capire cosa pensassero i cittadini. A Roma, l’ho capito dai molti colloqui di questi mesi, quasi nessuno conosce ciò di cui pure parla: si continua a chiamare "ampliamento" una nuova base che verrebbe costruita a chilometri di distanza dalla Ederle. Da Roma hanno semplicemente gettato uno sguardo distratto alla nostra città, hanno pensato che fossimo solo una piccola realtà di provincia, e hanno deciso che Vicenza era sacrificabile. Ci hanno trattato, in altre parole, come una realtà coloniale, a cui promettere "compensazioni" come si farebbe con un paese africano a cui si offre di costruire una strada in cambio di uranio o petrolio. L’altra sera, a poche ore dall’ordinanza del Consiglio di Stato, migliaia di cittadini si sono radunati spontaneamente per una manifestazione pacifica. Erano famiglie, ragazzi, anziani. Gente normale. Tutti accomunati da un sentimento: l’indignazione. Indignazione perché da Roma uno Stato lontano e forse persino ostile ci ha voluto negare una possibilità di democrazia. Come se facesse paura. Come se rappresentasse una minaccia far esprimere per una volta i cittadini, cioè coloro che lavorano, faticano, pagano le tasse, fanno il loro dovere ogni giorno. Mercoledì sera, in piazza, ho guardato in faccia i miei concittadini. Ho visto la loro delusione, la loro amarezza. Ho visto la mia città ferita una volta di più nella sua libertà e nella sua dignità. E ho visto calpestata per l’ennesima volta la nostra terra, non solo Vicenza ma il Veneto, troppo abituata a obbedire in silenzio. Ho visto la stanchezza e l’insofferenza per la sordità di Roma, che guarda ai territori come a feudi assoggettati, senza autonomia: fino al punto da togliere il diritto ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, con la vergogna di una legge elettorale in cui sono le segreterie di partito a decidere chi andrà in Parlamento. Ho visto tutte queste cose, e ho deciso di raccogliere una proposta che subito era circolata: se non possiamo votare nei seggi ufficiali dentro le nostre scuole, votiamo davanti alle scuole, nei gazebo. L’ho trovata un’idea giusta, e saggia. Perché questa città ha diritto di esprimersi: di più, credo ne abbia bisogno. Qualcuno dirà, e ne ha certo diritto, che la consultazione "non ufficiale" che è stata organizzata non ha più alcun valore istituzionale, che sarà solo un sondaggio dal significato politico. Sono d’accordo, a patto che intendiamo la parola "politica" nel senso corretto. Quando si decide di consultare i cittadini su un tema così rilevante per la città non si chiede una scelta di schieramento partitico o ideologico. Si chiede di esprimere una scelta democratica dal contenuto civico. E la parola "politica" viene dal greco "polis", che vuol dire città. L’opportunità che oggi rivendichiamo è quella di non farci calpestare, di tenere alta la bandiera della nostra dignità. Sì, questa giornata avrà un significato politico, un significato politico straordinario, che vincano i SI o i NO: perché Vicenza avrà l’occasione di parlare, e di mostrare a tutta Italia, in una prova senza precedenti di democrazia diretta, cosa vuol dire essere una città. *sindaco di Vicenza   Vicenza vive da anni un clima di divisione e di scontro legato a un evento preciso: la scelta del nostro Paese, attuata da governi di diverso colore politico, di rispondere positivamente alla richiesta del governo americano di unificare a Vicenza la 173a Brigata aviotrasportata, attualmente dislocata per la sua metà (duemila unità) in Germania e per l’altra nella nostra città. Ricordiamo che l’arrivo degli americani a Vicenza risale al 1945 quando, con il loro sacrificio, ci liberarono dalla tirannide nazi-fascista ed entrarono nella nostra città accolti con gioia e gratitudine da tutta la cittadinanza. La loro presenza divenne stabile nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando la situazione politica internazionale vedeva il contrapporsi dell’Europa libera e democratica al blocco comunista, contrario a questi valori e abituato ad usare la forza per reprimerli. Il conflitto mondiale era da poco alle spalle e l’Europa era impegnata nella ricostruzione e nel rilancio della sua economia. Gli americani erano più che ben accetti poiché rappresentavano un baluardo di sicurezza per le nostre democrazie che, anche grazie alle basi delle forze armate USA, potevano dedicare tutti i loro sforzi alla ripresa senza dovere impegnare onerose risorse in spese militari. La nascita delle prime istituzioni comunitarie fino all’Europa a 27 ci ha consentito sessant’anni di convivenza pacifica e la caduta del muro di Berlino ha fatto venir meno forti contrapposizioni ideologiche. Dopo l’11 settembre è stato a tutti chiaro che esistono paesi anche a noi vicini sia ad Est che nel Mediterraneo che forse non hanno ancora scelto di sostituire nel mondo la forza con il diritto. L’Europa, finora, non è riuscita a dotarsi di una difesa comune e i 27 Paesi dell’Unione hanno scelto, di fatto, di delegare la loro sicurezza, alla NATO e all’alleato americano. L’Italia e l’Europa si trovano ad un bivio: o investono negli armamenti e si costruiscono un esercito adeguato o continuano a farsi proteggere anche da terzi. Se a tutto ciò aggiungiamo la drammatica situazione finanziaria che si è abbattuta su tutto l’Occidente e la quasi scontata crisi economica che ne seguirà, pensare che questo sia il momento per trovare quelle risorse è pura utopia. "Nimby, non nel mio giardino di casa". Con questo acronimo si riconosce il diritto di ogni singolo cittadino di battersi per tentare di modificare quelle decisioni magari di sicuro interesse generale ma non gradite. Diverso deve essere l’atteggiamento di una amministrazione pubblica che deve essere capace di rappresentare anche interessi generali che talvolta appaiono contrastanti con quelli di una parte della comunità che rappresenta. Il suo dovere è quello di far sì che queste decisioni abbiano il minore impatto possibile sulla cittadinanza, trasformandole magari in un’opportunità.

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