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I prezzi dei carburanti crollano, e il carovita tira il freno a mano nel mese di novembre

  ROMA – I prezzi dei carburanti crollano, e il carovita tira il freno a mano nel mese di novembre. L’inflazione del mese scorso è scesa infatti a livelli che non si vedevano da dicembre dello scorso anno, passando dal 3,5% di ottobre al 2,7%. E il contributo fondamentale è arrivato da una consistente contrazione dei prezzi dei prodotti energetici.  In realtà, mette però in guardia il Codacons, a parte il calo effettivo dei prezzi dei prodotti energetici, legato alla discesa del prezzo del petrolio, «si tratta solo di un illusorio calo tecnico che non può far gridare vittoria a nessuno, men che meno al governo che nulla ha ancora fatto per abbattere l’inflazione». A fine anno l’associazione dei consumatori ha considerato che gli aumenti dei prezzi del 2008 determineranno una stangata di 1.700 euro a famiglia. L’ulteriore rallentamento dell’inflazione a novembre, hanno spiegato i tecnici dell’Istat, riflette in primo luogo il brusco ridimensionamento della dinamica tendenziale dei prezzi dei beni e in particolare di quelli energetici. I numeri, del resto parlano molto chiaro: l’aumento tendenziale dei prezzi di tutto il settore è infatti passato dal 10,4% di ottobre al +3,3%, mentre a livello mensile si è avuta una contrazione del 4,8%, ma pane e pasta continuano ad aumentare. Le notizie migliori arrivano quindi per gli automobilisti: i listini della benzina verde hanno infatti registrato un calo congiunturale del 10,4%, con un tasso tendenziale del -7,5% (+5,5% a ottobre). Per il gasolio da autotrazione una diminuzione mensile dell’8,6% ha portato il tasso tendenziale al -2% dal +10,6% di ottobre. E ancor più consistente è il deprezzamento tendenziale dell’apparecchiatura e materiale telefonico, pari al 20,6%, pur con un aumento mensile 2,5%. Per Natale intanto, secondo un’indagine di Fipe- Confcommercio, gli italiani potranno godersi pranzi fuori casa a prezzi più contenuti. In nome di una politica anticrisi, infatti, il 21,4% dei ristoranti abbasserà i listini, mentre il 71,4% li terrà invariati e solo una piccola minoranza, il 7,1%, farà pagare un conto più salato. Tuttavia per centinaia di migliaia di lavoratori dell’auto e dell’indotto, c’è poco da restare allegri. Sono infatti chiuse da ieri, per oltre un mese, le fabbriche italiane della Fiat. I lavoratori sono in cassa integrazione fino a lunedì 12 gennaio, ma a Mirafiori resteranno a casa fino al 19 gennaio. Il provvedimento interessa complessivamente 59.000 lavoratori secondo la Cgil, che segnala però un dato molto più consistente, perché il vero fulcro è la componentistica: sono circa 200.000 in Italia, i lavoratori in cassa integrazione. Per la Fiom di Torino per ogni lavoratore degli stabilimenti Fiat ce ne sono quattro nelle aziende della componentistica auto. «Per la prima volta – afferma il segretario generale della Fiom torinese, Giorgio Airaudo – sono contemporaneamente in crisi auto, veicoli commerciali, camion e macchine movimento terra. E, sempre per la prima volta, non è in crisi solo un produttore ma tutti i produttori europei, che chiudono da un minimo di 2 settimane a un massimo di sei. Questa volta la crisi Fiat non viene compensata dal fatto che le aziende si sono diversificate e hanno clienti diversi». «Serve un forte intervento pubblico – sottolinea Airaudo – e, in questo senso, va bene la proposta del sindaco Chiamparino di commesse pubbliche di bus a metano. È però anche necessario un vincolo di prospettiva che impedisca che un eventuale matrimonio si porti via in dote fuori dall’Italia stabilimenti e know how della Fiat. Per fare questo dobbiamo candidarci a produrre auto a basso impatto ambientale e a zero emissioni». «La situazione è un vero disastro – afferma Roberto Di Maulo, segretario generale della Fismic – e ovunque i governi stanno mettendo in campo interventi a sostegno del settore. Mi sembra irrazionale non farlo in Italia, anche perché si tratta di un’industria ormai globalizzata. Le risorse non devono andare sul versante della cassa integrazione perché in quel caso servono più alle medie e piccole imprese, ma su quello dell’innovazione tecnologica». Per Antonino Regazzi, segretario della Uilm «bisogna avere chiaro che soldi dello Stato sull’auto non sono buttati via, ma è un sostegno all’occupazione e al Pil del Paese. La crescita della Fiat tra il 2006 e il 2007 ha portato a un aumento dello 0,5% del Pil».

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