Udienza storica quella di martedì prossimo dinanzi alla Corte Costituzionale presieduta da Giuliano Vassalli: la Corte dovrà decidere se aprire le porte alla sindacalizzazione dei militari e dei carabinieri. E come primo effetto mercoledì prossimo i carabinieri si sono dati appuntamento alla Corte , a piazza del Quirinale (proprio di fronte al presidente Ciampi), per assistere come loro diritto alla discussione della causa che più di ogni altra li riguarda da vicino. La Corte, infatti, dovrà decidere se l’art. 8, co. 1 , della legge 382/78, che vieta ai militari di ?costituire o aderire ad associazioni professionali di carattere sindacale? sia illegittimo rispetto all’art. 39, 3 e 52 della Costituzione e aprire così la strada alla sindacalizzazione dei carabinieri. La vertenza origina da numerosi provvedimenti adottati dal Comando Generale dei Carabinieri contenenti il divieto di svolgere attività sindacale agli iscritti all’Associazione UNARMA . Contro questi divieti presentarono ricorso l’UNARMA , nella persona del suo segretario brigadiere Ernesto Pallotta, e l’Associazione Solidarietà Diritto e Progresso (associazione di militari) , difesi dall’avv. Prof. Carlo Rienzi , sostenendo che il divieto viola il principio costituzionale di associazione, e di libertà di svolgere attività di tutela delle condizioni di lavoro, creando anche disparità ingiustificate di trattamento tra i carabinieri e la polizia che, come è noto, può costituire associazioni sindacali. Il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza 1142/98, ha accolto la richiesta dei ricorrenti e ha sollevato la questione di costituzionalità della legge chiedendo il giudizio della Corte che si pronuncerà mercoledì prossimo. ?Appare dubbio ? scrive il Giudice amministrativo ? che l’esclusione della libertà sindacale per i militari trovi un ragionevole fondamento? ??i militari godono di libertà di associazione confinata in un limbo funzionale, delimitato dal divieto per l’associazione di assumere iniziative che possano avere carattere sindacale e dai conseguenti immanenti controlli dell’autorità militare?. Né l’esistenza di organi di rappresentanza dei militari come il COCER elimina il problema: ?con gli organi di rappresentanza, infatti, non è coperto l’arco delle possibili istanze collettive?inoltre quello degli organi di rappresentanza non costituisce un sistema alternativo al principio della libertà sindacale del legislatore: con esso, infatti, vengono sacrificati i principi della libertà dell’organizzazione sindacale e del pluralismo sindacale???nemmeno potrebbe fondarsi l’esclusione della libertà sindacale sull’esigenza di non indebolire la disciplina militare, le norme disciplinari, infatti, non subirebbero , con il riconoscimento della libertà sindacale, alcuna modifica.? ?Inoltre, all’argomentazione di tipo ideologico sembrano potersi estendere le acquisizioni della Corte circa il limite della libertà di manifestazione del pensiero dei militari secondo cui per la configurabilità del limite suindicato non è sufficiente la criticaanche aspra delle istituzioni, la prospettazione della necessità di mutarle, la stessa contestazione dell’assetto politico sociale sul piano ideologico, ma occorre un incitamento all’azione e alla violenza contro l’ordine legalmente costituito?.?. Con una memoria depositata davanti alla Corte l’avvocatura dello Stato, in difesa della legge sostiene ?una incompatibilità intrinseca alla natura delle stesse associazioni sindacali che non possono in alcun modo adattarsi alle caratteristiche di una organizzazione che, come quella militare, valorizza invece ? ed in misura singolare ? il principio della gerarchia, il rapporto di subordinazione ed il dovere dell’ obbedienza in quanto elementi basilari ed essenziali per la sua coesione ed efficienza?. Il difensore delle associazioni ricorrenti, l’avvocato Carlo Rienzi, invece sostiene che ormai la progressiva modifica delle funzioni dei militari, divenuti veri e propri lavoratori subordinati impiagati nelle più varie situazioni e sempre più parificati alla polizia di Stato, rende superata questa concezione restrittiva e produce effetti perversi come quello in questi giorni in discussione che ha portato , in assenza di sindacato e di possibilità di protesta collettiva, a far proporre un vergognoso aumento di sole 18.000 lire al mese, quanto il biglietto di un cinema e una busta di pop corn. Tanto più se si considera che in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Austria e Svizzera, da decenni esiste la possibilità di sindacati militari e che il Parlamento Europeo fin dal 12.4.84 ha adottato una risoluzione con la quale invita gli asatati membri ad accordare in periodi di pace ai loro militari il diritto di fondare associazioni professionali per la salvaguardia dei loro interessi sociali, di aderirvi e di svolgervi un ruolo attivo.